9 novembre 2014

Signore e signori, buon pomeriggio, buonasera e buonanotte (cit.)


Signore e signori...
Bentornati! Eccoci alla seconda parte dell'analisi di ciò che ci attende nel mondo tecnologico per il prossimo futuro.

Nella prima puntata abbiamo disquisito dello stato attuale di sistemi operativi ed ecosistemi, ma anche di quello che potrà accadere nei prossimi mesi o anni.
Il lungo articolo è però utile anche per introdurre ciò che sto per raccontarvi. Quindi se ancora non lo aveste fatto, vi consiglio di darci un'occhiata :-)

Oggi parliamo di hardware, ma non mi dilungherò molto sul mercato attuale, dato che è fermo da anni ed ognuno di voi lo conoscerà già a menadito: PC e periferiche esterne, smart-phone, tablet, persino gli ultimi arrivati (wearable e smart-watch) sono ormai oggetti ben noti.

Il mio interesse è decisamente rivolto al futuro, per lo meno quello prossimo visto che di quel che sarà nessuno può sapere.

Ho intenzione -nei prossimi giorni- di affrontare anche un altro movimento che da qualche anno sta con forza allietando gli appassionati di elettronica (e non solo). Ma non voglio affrontarlo adesso per evitare di allungare troppo il brodo.

Direi che possiamo partire!

Prima di entrare nel vivo vorrei fare il punto riguardo ciò che troviamo oggi sul mercato.


Benvenuti nel mondo di Qualcomm!
Qualsiasi dispositivo mobile attualmente in commercio (smart-phone o tablet, ma non solo) dipende in un modo o nell'altro da questa azienda americana. Perché?

Facciamo un passo indietro.
Ci sono essenzialmente due tipologie di prodotti che è possibile trovare nei negozi: dispositivi fissi e dispositivi mobili. Nella prima categoria ricadono ovviamente i PC, in tutte le declinazioni esistenti (e ci aggiungo anche i notebook). Invece nella seconda troviamo i tablet, gli smart-phone ed i nuovi netbook (ad es. i Chromebook) e molti degli ibridi con touch-screen + tastiera.

La distinzione tra le due categorie sta scemando sempre più, e per suddividere meglio le due tipologie mi soffermerei principalmente sul tipo di processore utilizzato all'interno delle stesse.


Da una parte c'è il mondo dei processori "vecchia scuola", in cui Intel la fa da padrona. Dall'altra parte ci sono i "nuovi" processori basati sull'architettura ARM.

Senza entrare troppo nei dettagli, possiamo dire che tali processori sono realizzati per scopi completamente differenti. E se i processori Intel sono più potenti, più prestanti, più ingombranti ed esosi di energia, ma ottimi per desktop, portatili e tutti gli strumenti che richiedono tanta potenza di calcolo; i processori compatibili con le specifiche ARM sono, al contrario, meno potenti, non richiedono sistemi di raffreddamento particolari, consumano poco, e per farla breve sono perfetti per dispositivi come smart-phone o tablet (ma anche wearable) che debbono essere leggeri, non concentrare calore e consumare poca energia.

Anche Intel, comunque, non è rimasta a guardare e da un po' ha realizzato processori equivalenti a quelli ARM. Anche se al momento non ha riscosso troppo successo.

Ultimamente, poi, sono nate categorie di prodotto (come i Chromebook con Chrome OS, ma anche altri device con Windows o Linux) che potete trovare sul mercato con entrambe le tipologie di processori.
Questi prodotti ibridi sono mossi o da sistemi operativi che richiedono poca prestanza, o da versioni snellite degli stessi. Ciò la dice lunga sull'avanzamento nella potenza di calcolo dei processori basati sull'architettura ARM. Tali prodotti, però, spesso possono essere visti come poco più che tablet con tastiera annessa.


Qualcomm è una delle aziende che produce processori basati sull'architettura ARM, ed è una delle aziende che hanno più investito in ricerca negli ultimi 30 anni. Questo ha permesso alla stessa società di essere la prima ad arrivare ad integrare all'interno di un singolo chip (il SoC) sia processore, sia GPU ma anche il modem/radio.
Inoltre, Qualcomm è stata la prima ad aggiungere il supporto per le reti 4G LTE, cosa che nel mercato odierno è richiestissima dai produttori, che devono sopravvivere alla concorrenza spietata esistente.

Praticamente ogni azienda manifatturiera che necessita, nello specifico, di processori ARM si affida a Qualcomm, e negli ultimi anni si è creato fondamentalmente un monopolio.
Perfino Apple, che realizza in casa i propri processori, deve richiedere l'aiuto di Qualcomm per i moduli LTE: l'azienda sembra essere l'unica in grado di soddisfare l'innumerevole domanda che c'è.

Samsung, LG e Huawei producono processori ARM compatibili. Ma nelle versioni internazionali dei loro prodotti utilizzano sempre processori Qualcomm o moduli prodotti dall'azienda americana.


Mediatek, azienda di Taiwan, sembra essere al momento la concorrente più in forma, anche se rivolta principalmente al mercato di fascia bassa e media: cosa molto interessante, poiché (se vi ricordate) nel prossimo futuro la battaglia si sposterà nei paesi emergenti dove vengono venduti, appunto, solo dispositivi in quelle fasce di prezzo. Non è un caso se i dispositivi Androidone fanno tutti uso dei processori di Mediatek.


Ad ogni modo non è solo sui processori che si combatteranno le battaglie del futuro: oggi c'è la corsa ai 64-bit, iniziata da Apple l'anno scorso, ed in generale all'ultima novità prodotta (quel MHz inutile in più...). Oltre che le classiche ed intramontabili dispute: display con risoluzioni impensabili, fotocamere dai mille mila megapixel o motorizzate o per i selfie/groufie, memorie sempre più capienti, sensori il più strampalati possibile, spessori irrisori...

Ma aggiornare SoC e le altre componenti non cambia la natura dei dispositivi immessi nel mercato.


La storia che sto per raccontarvi è molto più interessante... ed ha due inizi!


Buon pomeriggio.

Era l'Aprile del 2013 ed un ragazzo come tanti, il designer olandese Dave Hakkens, aveva un piccolo problema con la sua videocamera: non funzionava più!
Smontandola, egli si accorse che, di tutte le componenti presenti, si era danneggiato solamente il motorino dell'obiettivo. Provando, però, a contattare il produttore per richiedere un pezzo di ricambio, gli fu risposto che non era possibile averlo, e che, invece, avrebbe dovuto ricomprare l'intera videocamera...

Dave cominciò così a pensare che molti altri oggetti -prendete in considerazione ad esempio una bicicletta- permettono di sostituire le varie parti che li compongono senza particolari problemi. Spesso, invece, gli strumenti elettronici non sono altrettanto flessibili: se fosse possibile smontarli e sostituirne i pezzi con facilità, sicuramente gli stessi avrebbero vita più lunga, oltre a favorire una riduzione dello spreco di componenti elettroniche.
Difatti, con una ricerca sul fenomeno dell'eWaste, a Dave fu chiaro che i dispositivi mobili erano (e lo sono tuttora) tra le maggiori cause dell'accumulo di spazzatura elettronica.

Egli spostò, quindi, la sua attenzione su un eventuale smart-phone che fosse possibile riparare, e presentò questa idea come parte del suo progetto di laurea alla Design Academy Eindhoven.
Era nato Phonebloks.

Il concept -il designer non era chiaramente in grado di realizzarlo- era quello di un dispositivo in cui fosse possibile sostituire ovviamente lo schermo, ma anche che ogni componente interna od esterna (batteria, fotocamera, sensori, etc) fosse racchiusa in un blocchetto intercambiabile.



Nel video che pubblicò il 10 Settembre 2013 su YouTube per pubblicizzare Phonebloks, Dave immaginò le varie componenti come piccoli pezzetti Lego, inseribili ad incastro e a piacere nel retro del telefono.
L'idea chiaramente non era più, a questo punto, solo quella di sostituire eventuali componenti rotte con nuove parti identiche, ma anche di poter aggiornare il dispositivo con componenti nuove, perfezionate, differenti o più potenti e di modellarlo a nostro piacere!

Allo stesso tempo, il designer cominciò a diffondere quell'idea tramite la piattaforma Thunderclap: lo scopo era quella di raggiungere almeno 500 persone in modo che le stesse, tramite il re-sharing virale via social network, facessero da amplificatore.

In 3 giorni il video ottenne 7 milioni di visite (per chi se lo chiedesse ad oggi sono quasi 21). Alla fine del mese di ottobre dello stesso anno, il giorno designato per lo spammone generale (il 29) l'annuncio aveva più di 950.000 supporters (arrivati ben presto a 979.250) su Thunderclap e il video fu linkato sui social ben 375 milioni di volte.

Era una chiara indicazione che gli utenti -gli acquirenti di tecnologia- adoravano l'idea di un telefono modulare.
I telefoni non sono mai stati modulari come lo sono (o lo erano, visto gli andazzi degli ultimi tempi) i computer e, soprattutto, divenendo (come abbiamo visto) sempre più sottili, tutte le componenti interne hanno cominciato ad essere aggregate in singoli chip (grazie Qualcomm).

Le stesse batterie, un tempo removibili in tutti i telefoni, ora sono modellate e saldate per entrare nella forma dello specifico dispositivo (grazie Apple...).



L'idea era intrigante, il suo ideatore non era però in grado di realizzarla e c'erano tantissime variabili (sia tecniche che commerciali) che non erano state prese in considerazione, in quanto si stava parlando solo di un concept. Non mancavano di certo i detrattori.

Ma era nato un movimento.
E, secondo le parole di Bruce Harvey, un ingegnere elettronico dell'Università di Stato della Florida all'epoca intervistato dalla BBC riguardo proprio Phonebloks, non era poi così assurdo pensare di poter trasformare quel concept in un prodotto commercializzabile.



Buonasera.

Facciamo un passettino indietro nel tempo.
2011: prima dell'acquisizione di Motorola, completata solo nel 2012, Google fece suoi (per 4.9 milioni di dollari) i patent registrati dalla ormai non più esistente Modu (fondata nel 2007 e fallita già nel 2008 per debiti).

Chi era Modu?
L'azienda start-up israeliana era nata con il progetto di un dispositivo cellulare formato da un piccolo modulo centrale (contenente il chip radio e qualche altro sensore). Tale corpo poteva, poi, essere ampliato con moduli aggiuntivi, permettendo all'utente di crearsi uno smart-phone su misura.

Ma la storia chiaramente non si fermò lì: terminata l'acquisizione di Motorola, nel 2012 Google avviò un progetto sperimentale nella sua ancora-non-svelata divisione Advanced Technology and Projects (segnatevi l'acronimo: ATAP).

Progetto che, solo più tardi, sarà rivelato al mondo con il nome Project Ara.

Una nota giusto per la cronaca: la divisione ATAP era nata in Motorola con alla guida Regina Dugan, precedentemente direttrice della DARPA (Defense Advanced Research Projects Agency) l'agenzia del Dipartimento di Difesa degli Stati Uniti dedita a ricerca e sviluppo di nuove tecnologie per uso militare.
Assieme a lei giunse nel team anche Paul Eremenko, ancora oggi leader del team Ara.



Il fatidico giorno dello spammone globale di Phonebloks (:-D), il 29 ottobre 2013 (ve lo ricordavate vero? :-P), Motorola mostrò al mondo Ara ed annunciò una collaborazione proprio con il movimento indipendente che, allora, era ancora agli albori.

All'epoca l'azienda americana chiese a Dave Hakkens se volesse entrare a far parte del team Ara, ma lui rifiutò poiché la sua idea non era mai stata quella di creare un prodotto commerciale, quanto più di trasformare la mentalità delle aziende già presenti nel settore.




Motorola, comunque, iniziò una campagna dal nome MAKEwithMOTO, durata 5 mesi in giro per gli Stati Uniti, per valutare l'interesse dei consumatori riguardo i telefoni modulari.

Ormai era passato più di un anno dall'inizio reale dei lavori, e Google aveva annunciato la vendita di ciò che era rimasto di Motorola (dopo essersi "liberata" di altre parti dell'azienda) alla cinese Lenovo.

Era tutto finito? Assolutamente no!

Nell'accordo di vendita, la divisione ATAP e l'immenso numero di brevetti di Motorola erano stato tenuti fuori!


E così, nella primavera di quest'anno, precisamente il 15 ed il 16 aprile 2014, si è tenuta la prima conferenza per gli sviluppatori. Sì, perché l'idea di Google è quella di far salire a bordo della nave produttori e sviluppatori di tutto il mondo al fine di rendere Ara un prodotto di successo.


Seth Newburg e Ara Knaian (da cui deriva il nome del project) sono i due ingegneri che si stanno occupando dello sviluppo di ARA, guidati come già detto da Paul Eremenko, più volte apparso in pubbliche occasioni per mostrare l'idea del telefono modulare di Google.

L'ATAP segue delle regole rigide, e qualsiasi prodotto che nasce al suo interno deve essere completato entro due anni.

Siamo vicini allo scadere dei termini.
E, finora, tutte le volte che il prototipo è stato mostrato in pubblico (alla conferenza di aprile ed al Google I/O in giugno) ha sempre fallito il boot.


Ho detto finora?
Sì, perché finalmente ARA ha funzionato.


Su ARA ci tornerò fra poco, però, perché prima voglio continuare con il mio racconto.


Buonanotte.

Nel frattempo il movimento Phonebloks non era rimasto fermo, ma anzi aveva creato una community molto attiva, diventando il centro di attrazione per tutti coloro (utenti e aziende) interessate al concetto di dispositivo modulare.

Nonostante il nome contesse la parola "Phone", ben presto l'ambito dei telefoni era diventato stretto, e l'idea si era velocemente allargata a qualsiasi dispositivo elettronico.

Si parla da tanto tempo di Internet delle Cose: ben presto ogni dispositivo elettronico sarà in grado di comunicare con gli altri dispositivi collegandosi al web.

E se una piccola parte di questi componenti dovesse smettere di funzionare? Che facciamo: ricompriamo tutto ogni volta?
Non sarebbe altresì bello poter prendere un componente di un dispositivo e utilizzarlo su di un altro? Queste e tante altre sfide guidano ormai il movimento Phonebloks.

Tutto è partito dai telefoni, ma spostare il fuoco al complesso mondo della tecnologia, che muove la nostra società, è stato un rapido passaggio.


L'idea è quella di connettere le aziende tra loro, farle comunicare al fine di realizzare componenti compatibili e intercambiabili.

Forse questo è davvero più utopistico di un semplice telefono modulare. Ma il futuro può riservarci tante sorprese, e il fattore eco-sostenibilità è sicuramente da tenere a mente.


Ad ogni modo, è ormai passato un anno dalla nascita di Phonebloks, e quelle idee, che sembravano solo fantasticherie, oggi sono invece molto più reali.



Oltre a Google con il suo Project Ara, altri produttori hanno annunciato la loro visione modulare: ZTE con Eco Mobius, Xiaomi con il suo Magic Box, la start-up Vsenn, e c'è addirittura un concept (veramente figo) per uno smart-watch modulare.

Non solo, anche aziende come Sennheiser hanno aderito al movimento, e stanno cominciando a lavorare a blocchetti per tali smart-phone modulari.


Buongiorno!

Torniamo a parlare di ARA: ad oggi questo è il prototipo più promettente di telefono modulare, ed il fatto che esso sia una progetto di Google fa ben sperare sulla sua effettiva commercializzazione.

Infatti, sono passati 6 mesi dalla prima conferenza, ed una seconda è stata fissata: 14 gennaio 2015 (live da Mountain View) e 21 gennaio 2015 (live da Singapore) sono le due date in cui saranno tenuti due incontri, ed in giro per il mondo (New York City, Buenos Aires, London, Bangalore, Tokyo, Taipei, Shanghai) sarà possibile raggiungere gli sviluppatori del progetto.


Teoricamente per il Q1 2015, entro la scadenza dei due anni concessi dall'ATAP, ARA dovrebbe arrivare sul mercato. Almeno in versione prototipale per gli sviluppatori.


 

Ma che cos'è ARA?
L'idea è molto simile a quella ideata da Phonebloks, anche se -per ora- più limitata.

Abbiamo un frame principale, un blocco che può essere (al momento) di tre dimensioni: piccolo, medio e grande. Questo blocco è il cuore di ARA e su di esso è possibile agganciare moduli aggiuntivi contenenti le periferiche di nostro interesse.

Il suo costo dovrebbe essere compreso tra i 50 ed i 100$. Tutto dipenderà, poi, dalle altre componenti che sceglieremo.


La cosa veramente interessante del dispositivo è che questi blocchetti potranno essere inseriti ed estratti anche a device acceso: saranno hot-swappable!

E, ancora più intrigante, è il fatto che anche RAM, batteria e le altre memorie saranno sostituibili. Solo display e CPU, per ovvi motivi, non potranno essere sostituiti a telefono acceso.

 


Ogni blocchettino può avere una dimensione multipla di uno slot: quindi potranno esserci blocchetti da uno slot, da due e così via.
Un MDK è stato reso disponibile per aiutare nella realizzazione di questi moduli compatibili con ARA. Moduli che possono essere ricoperti da cover stampabili con stampanti 3D: in questo modo potremmo personalizzare anche l'aspetto del nostro device modulare!



I blocks saranno acquistabili da uno store che sarà creato appositamente, simile al Play Store di Google. E da quello che avrete immaginato vedendo la foto qui sopra, ARA eseguirà una versione modificata di Android Lollipop.


Al momento, comunque, nel primo prototipo (lo Spiral 1) solo metà dello spazio è disponibile per gli sviluppatori. Inoltre, il design lascia ancora un po' a desiderare, ed è ben lontano dagli esempi che vennero mostrati durante la prima conferenza per sviluppatori di aprile.
Il team promette che il secondo prototipo (lo Spiral 2), che sarà mostrato durante la seconda conferenza -utilizzando dei chip particolari realizzati da Toshiba-, avrà molto più spazio a disposizione.


Durante l'Expand NY 2014 (lettura altamente consigliata), che si sta tenendo in questi giorni, Paul Eremenko ha illustrato gli avanzamenti del progetto, mostrando anche un Pulse Oximeter ed un Blood Oxygen Sensor compatibili con ARA: sembra, infatti, che egli stia pensando da tempo al telefono modulare proprio come un accentratore di componenti health-releated.


Ad ogni modo, l'idea di un dispositivo completamente modulare è un sogno che potrebbe diventare presto realtà. A mio parere è destinato a cambiare molte regole del mondo della tecnologia, se seguito con successo non solo da Google (a cui sembra piacere molto l'idea del modulare) ma da tutti i player che possono produrre i vari blocchetti.

La speranza è che, se dovesse prendere piede il fenomeno, non si vadano a creare incompatibilità tra produttori, ma che si spinga per una coerenza generale, lasciando a noi utenti la scelta dei blocchetti aggiuntivi di nostro gradimento.

E già che ci siamo, sperimentando in nuove direzioni, sarebbe ora che qualcuno cominci a pensare seriamente anche a migliorare le tecnologie delle batterie...!



Al progetto portato avanti da Phonebloks partecipa anche un viso noto: jolla!

Il dispositivo jolla, già sul mercato, realizzato dalla start-up finlandese omonima, è uno dei primi esempi di dispositivi modulare.

Se avete seguito i vari articoli che ho pubblicato in passato al riguardo, saprete di cosa sto parlando. In breve comunque, come si vede dallo schema qui sopra, il dispositivo è in grado di comunicare con una seconda metà agganciabile ad esso, grazie ai vari pin presenti.

Il bello di queste seconde metà (The Other Halves agganciabili al corpo principale) è che sono stampabili con stampanti 3D, quindi chiunque può creare le proprie TOH. Ad oggi, ne sono state sviluppate diverse dalla community, e queste cover custom ampliano le potenzialità del telefono con tante funzioni utili o simpatiche: ricarica Qi, ricarica con luce solare, tastiera esterna, display secondario posteriore, cover con contenuti aggiuntivi, e così via...

Ciò è chiaramente solo un primo passo, ma nulla toglie che in future versioni dello jolla phone, più componenti possano diventare aggiuntive o modulari. Una sorta di approccio al contrario rispetto a quello al momento intrapreso dall'ATAP.



Non sono sicuro, però, che tutti si butteranno sul modulare. Infatti, è probabile che molti produttori, sentendosi minacciati, provino a percorrere altre strade.

Samsung (che pur ci prova), LG ed altri stanno già oggi spingendo altrove, ad esempio sulla produzione di display flessibili, pensando essere questa la direzione da seguire.

Nulla toglie, comunque, che i due mondi possano un giorno incontrarsi.



Altro campo di battaglia è quello della realtà virtuale: Facebook si è mossa in anticipo comprando Oculus, produttrice dei Rift, che ho potuto provare di persona qualche mese fa.

Ma tante altre aziende, come Oppo, Sony (Project Morpheus) o la stessa Samsung (Gear VR, comunque in collaborazione con Oculus) stanno sondando il territorio.
E sicuramente non rimarrà legato solamente all'ambito gaming...



La stampa 3D ha creato un nuovo mondo e nuovi modi per approcciarsi allo sviluppo di componenti (anche inimmaginabili finora). DIY (Do It Yourself) è il nuovo mantra!

Vi avevo già introdotto all'argomento quest'estate, e ci tornerò sicuramente in futuro, ma la cosa da sottolineare è che il 3D printing ha aperto infinite possibilità (anche se c'è chi probabilmente le sta sfruttando male).


Non dimentichiamoci della fotografia o dei companion più strambi che potreste immaginare (a proposito: che fine hanno fatto i google glass?).

Insomma, una cosa è certa: la battaglia nel campo hardware sarà per i prossimi anni molto più interessante di quella lato software.

Ed è anche per questo motivo che ho deciso, suddividendo il mio pensiero in due articoli, di concludere proprio con le prospettive di evoluzione per i gingilli che ogni giorno, sempre più, ci circondano/circonderanno.

Google -come al solito- è in testa, e, tra robot e automobili che si guidano da sole, esperimenti in ambito cinematografico e molto altro ancora, ci tiene impegnati quotidianamente.



Giusto per completare lo sguardo sulle bizzarrerie di Google, tra gli altri progetti più strampalati in grembo all'ATAP, vi segnalo anche la presenza di Project Tango, che si vocifera essere in arrivo per questo mese di novembre, anche se per il momento sarà destinato solo agli sviluppatori.

Nota: per redigere parte di questo articolo ho preso spunto da diverse interviste ed altri articoli sul web. Molti link li ho riportati durante il racconto; per tutti gli altri -per chi volesse approfondire- lascio un piccolo elenco qui:
  • "Dave Hakkens" (intervista al fondatore di Phonebloks), Protein;
  • infine, vi segnalo il blog della community di Phonebloks che contiene sempre tanti articoli interessanti.

Il viaggio si conclude qui, con la speranza di avervi incuriosito.

Vi lascio quindi con una domanda:
Siete eccitati da quel che ci riserba il prossimo futuro?