5 novembre 2014

Tutto quello che ho sono le scelte che faccio, e io scelgo lei! (cit.)


Ciao ragazzi, come va?

Giorni fa vi parlavo di quello che ci attende nel mondo tecnologico per il prossimo futuro: l'inondazione di wearable e phablet, il calo delle vendite nel mercato tablet e, invece, qualche spiraglio per quello dei personal computer, con una veloce analisi sul perché di tale fenomeno.

Ho intenzione di tornare in modo trasversale sull'argomento.
E per farlo, voglio affrontare i reparti hardware e software in modo distinto.

Oggi è il turno del software, inteso principalmente (ma non solo) come quell'insieme di componenti che permette di dar voce ai freddi gingilli che noi utenti utilizziamo quotidianamente: insieme composto da sistemi operativi e, in minor parte, ecosistemi.


Vi starete chiedendo: e perché partire dal software?

Mi è più facile iniziare da qui, poiché ritengo che, una volta fatta chiarezza sul panorama software attuale -e quello presunto del futuro-, si riesca ad intuire più velocemente anche la direzione in cui andrà l'hardware.

Si sa che il software viene creato per far funzionare l'hardware, e quindi solitamente è scritto dopo la progettazione e sviluppo delle componenti fisiche. Ma posso anticiparvi che il mercato hardware non sta ancora virando verso alcuna rivoluzione in particolare, sicuramente non nel senso di nuovi paradigmi o strumenti innovativi...

Si tenta, al più, di affinare ed ampliare le potenzialità di quel che è già presente, gettando le basi per quel qualcosa che in futuro arriverà, ma che ad oggi non si ha ancora l'interesse, la voglia o anche solo le capacità di capire o affrontare.

E poi, il software può essere adattato, migliorato ed evoluto quando sarà necessario: l'importante è dare il via!

E questo "dare il via" sarà un perno importante della disquisizione.


Il punto principale, però, che mi obbliga ad iniziare dal reparto software rispetto che quello hardware sono i servizi. Essi ruotano attorno ad ogni prodotto immesso sul mercato.
Un tempo si acquistava un computer od un televisore, piuttosto che un telefono od un riproduttore musicale per il puro scopo intrinseco dell'uso di quell'oggetto in sé: ho necessità di un calcolatore, voglio guardare un film, devo telefonare, voglio ascoltare un po' di musica...

Oggi non è più così: si acquista un prodotto per tutto l'insieme di cose che ci permette di fare, per il modo con cui ci consente di realizzarle, e per l'ecosistema di servizi ed accessori che ruota attorno ad esso.

E visto che gli ecosistemi esistenti attualmente sono gestiti da un numero relativamente piccolo di aziende, anche l'evoluzione o lo sviluppo di nuovo hardware è legato agli interessi di pochi: perché creare qualcosa che non serve ad espandere e portare ancora più acqua al proprio mulino?

Il secondo punto fondamentale.



Visto che stiamo parlando di software, i quattro player più grandi nel mercato tecnologico mondiale odierno (per lo meno quello occidentale) sono rappresentati nello schema qui sopra. In ordine alfabetico abbiamo: Amazon, Apple, Google e Microsoft.

Trasversalmente ad essi, vi sono tantissime realtà che offrono servizi aggiuntivi, come i social network (ad es. Facebook che, però, sta cercando di allargarsi), oppure aziende nate proprio per sviluppare apps per gli ecosistemi portati avanti dai quattro moschettieri di cui sopra.
Queste applicazioni però sono uno strato superiore. Per questo motivo non saranno parte della trattazione.

I quattro big hanno caratteristiche completamente differenti: sono aziende nate con scopi diversi, in periodi a due a due distanti, e con visioni nel breve termine contrastanti.

Il "lungo termine" è il terzo oggetto della discussione.


Il significato dello schema che ho disegnato è molto semplice: le frecce (le cui stesse rappresentazioni non sono casuali) indicano come le aziende siano in relazione tra loro, in merito al supporto offerto ai vari ecosistemi concorrenti.


Partendo da Apple, è facile capire quanto l'ecosistema messo in piedi a Cupertino sia fondamentalmente chiuso su se stesso, ma sempre disponibile a ricevere dall'esterno.

Che significa?
Significa che Apple prende quello che ritiene buono dall'esterno (tramite una dura selezione iniziale) e concentra tutto il proprio operato sull'ampliare, migliorare e rifinire il proprio orto, in modo da "regalare" ai propri utenti (e solo a loro) quella che lei stessa ritiene essere la miglior esperienza di uso possibile.

Potremmo stare mesi ad analizzarne l'operato ed i risultati ottenuti (ma non è questo il luogo): fatto sta che questa politica funziona, è ovviamente di nicchia, ma una nicchia molto fruttuosa economicamente parlando visto che Apple è anche l'azienda più ricca al mondo.

Apple direttamente non dà nulla indietro ai propri competitor, anche se spesso è da lei che parte il via verso nuove frontiere o, comunque, è lei che riesce ad indirizzare in qualche modo l'avanzamento tecnologico.


Microsoft, fondata nello stesso periodo di Apple, e per tanto tempo acerrima rivale nello stesso ambito, quello dei personal computer, ha nel corso degli anni modificato la propria natura. Le scelte attuate a Redmond sono state sempre differenti da quelle di Cupertino, già a partire dal fatto che i prodotti sviluppati sono stati, e lo sono tuttora, distribuiti in modo da coinvolgere il più gran numero possibile di produttori di terze parti (gli OEM).

Windows è il sistema operativo per dispositivi tradizionali più utilizzato al mondo ed il numero di utenza raggiunta è impressionante.

Microsoft, come Apple, produce non solo il sistema operativo, ma anche tanti software aggiuntivi, come la suite Office, che sono anch'essi utilizzati dai più. Ma, a differenza di Apple, l'azienda cerca di distribuire questi prodotti anche al di fuori del proprio orto.
Sempre per fare l'esempio di Office, ne esiste una versione anche per il sistema operativo di Apple, e visto lo shift dal mondo tradizionale a quello mobile e del cloud, Microsoft ha rilasciato anche una versione online della sua suite, nonché le relative apps per iOS ed Android.

Non solo: con l'avvento del nuovo CEO, Satya Nadella, gli interessi del colosso tecnologico hanno cominciato a virare lentamente e principalmente verso il mondo dei servizi, e non è strano vedere l'azienda realizzare prodotti software o anche hardware per (o compatibili con) gli ecosistemi concorrenti. O insieme ad essi.

Microsoft ha anche inglobato a sé una delle "vecchie glorie" del mercato mobile: Nokia. E su questo ci tornerò fra poco.


Già: il cloud...
Negli ultimi 10-15 anni c'è stato un cambio di rotta rispetto ai vecchi paradigmi di utilizzo della tecnologia: tutto è ormai interconnesso (l'Internet of Things è, e sarà, il tassello successivo) ed i vecchi sistemi operativi non sono assolutamente più trainanti per l'evoluzione tecnologica come lo erano in passato.

Google, azienda nata proprio sul web, è da sempre la spinta più grande nello spostamento del business di praticamente chiunque dal mondo offline a quello online.
A Mountain View hanno creato un impero di servizi online, disponibili sia per i "vecchi" dispositivi tradizionali, ma ultimamente mirati soprattutto al mondo mobile (Google Now su tutti).

Android è il sistema operativo per dispositivi mobili più diffuso al mondo (obiettivo ottenuto nei 7 anni esatti dalla sua prima apparizione in pubblico), è open-source (segnatevi il termine), utilizza il kernel Linux (segnatevi anche questo), qualsiasi produttore può adottarlo, modificarlo e forkarlo (vero Amazon?).

Importante da segnalare è che Android, però, senza la controparte dei sopracitati servizi di Google attrae molte meno persone, almeno in occidente (sull'oriente ci tornerò fra poco). Ed il pacchetto che va sotto il nome di Google Apps + Services (ultima cosa da appuntarvi) è installabile dall'OEM di turno solo dopo un controllo dall'alto di BigG.

Ecco che Google, con leggera differenza rispetto a Microsoft, può controllare in parte ed in maniera più ampia anche il mercato hardware.

Ad ogni modo, Google non è solo Android, anche se è uno degli asset che spingono maggiormente i guadagni. Guadagni che derivano principalmente dalla pubblicità veicolata nell'immensa rete di servizi e prodotti realizzati, come Chrome OS. Prodotti che servono proprio a spostare l'attenzione dal mondo fisico verso il cloud, e con ottimi risultati.

Per quanto riguarda i servizi, a differenza di Apple e un po' come Microsoft, Google li rende disponibili per quasi tutte le altre piattaforme. Ok, magari non sono accessibili con comodità come sulle piattaforme predilette da Google stessa (quali Android, Chrome OS, iOS ed il web, principalmente via Chrome) a differenza di Microsoft che, invece, pubblica sugli store dei sistemi concorrenti tutte le proprie apps per accedere più comodamente a quanto offerto.

Google è una montagna di progetti, prodotti e strumenti sempre nuovi: come ho dettagliato nell'articolo della mia analisi su phablet e wearable, BigG mette le zampe un po' ovunque, in modo da essere sempre coperta, qualsiasi direzione prenda il mercato.


E parlando di servizi, chiudo il quadro spiegandovi come funziona Amazon.
Amazon è nata vendendo testi online. E da store di libri, si è trasformata in una vetrina in cui trovare qualsiasi prodotto (come recita la freccia del logo: dalla a alla z).

Ma a Seattle hanno pensato bene di sfruttare con furbizia questa capacità di conoscere così a fondo il mercato: del resto vendendo di tutto, sono in grado di capire velocemente desideri e necessità delle persone.

Il vantaggio di sapere come si muove il mercato delle vendite si è quindi concretizzato nella pratica frequente di produrre prodotti destinati proprio ad accontentare i desideri delle persone.
  • Gli utenti comprano tanti libri? Creiamo uno strumento per venderglieli meglio e farglieli consultare con il massimo della comodità, e magari con l'aggiunta di utilità a correndo.
  • Oppure: gli utenti vogliono vedere film o serie TV in streaming sulle tante televisioni full-HD che acquistano giornalmente ed in massa? Creiamo immediatamente uno strumento per accedere con rapidità a servizi di visione streaming di film e serie TV e, anzi, produciamo direttamente noi nuove serie TV da mandare in streaming.
  • I nostri clienti acquistano montagne di telefonini e accessori per gli stessi? Che aspettiamo a creare un dispositivo che risponda a tali desideri?

Ok, si è capito dove voglio andare a parare.

Amazon è questo: vendita di ogni possibile oggetto, analisi dei settori di mercato, (s)vendita di dispositivi che vadano ad ampliare gli stessi servizi che ruotano attorno ai desideri/necessità delle persone.

Non sempre questi prodotti sono di successo, ma non è questo il punto. A Seattle non guadagnano sulla vendita diretta dei prodotti in sé: spesso, infatti, questi sono immessi sul mercato a costo di produzione, o anche meno. Come ho già detto, il business è incentrato sui servizi che ruotano attorno a questi prodotti, e che l'azienda stessa realizza.

E non importa nemmeno che i prodotti più acquistati siano creati da Amazon, visto che comunque sono ugualmente venduti sull'e-commerce più grande al mondo che guadagna da queste vendite!

Amazon realizza servizi per tutte le piattaforme esistenti, in modo da raggiungere la maggior quantità di utenti possibile.


Avete notato come io abbia evidenziato di volta in volta anche la provenienza di questi quattro colossi?

Bene, questo è il quarto ed ultimo aspetto da tenere a mente.



Come legare assieme, quindi, i quattro punti fin qui emersi?
  1. modularità
  2. ecosistema
  3. futuro
  4. globalizzazione

Il mercato occidentale, dominato dai player di cui sopra (tutti americani!), è in affanno e non c'è più molto margine di crescita. I mercati orientali e quelli in via di sviluppo sono decisamente più attraenti ed ognuna della quattro aziende dovrà allargare le proprie mani su di esso.

Ma avverrà in modo differente.
Apple sta provando ad entrare in Cina, mentre al momento è completamente disinteressata ai mercati in via di sviluppo, visto che il core che spinge l'azienda non è ampliare alla cieca il proprio bacino di utenza, quanto più puntare sui mercati economicamente più vantaggiosi, e soprattutto continuare a guadagnare dalla propria nicchia.

Amazon non è mai stata una apripista, al massimo, come detto, ha sempre analizzato il mercato esistente (potremmo definirlo il passato) ed offerto servizi di conseguenza, in base alle valutazioni fatte sugli acquisti degli utenti.

La sfida si restringe perciò a Google e Microsoft, cosa che spiega i due seguenti fenomeni.
  • Il primo fenomeno è la tanta "difficoltà" per gli ingegneri di Mountain View di realizzare client per i propri prodotti per l'ecosistema di Redmond, anche se c'è da sottolineare che attualmente la diffusione di un pezzo dell'ecosistema di Microsoft -Windows Phone- è pressoché inesistente.
    Sui PC/tablet con Windows per poter accedere ai servizi Google è sufficiente utilizzare il browser web, mentre sugli smart-phone molti di questi servizi sono limitati o del tutto assenti.
    Comunque, ignorando l'eccezione dello share a due cifre del mercato italiano che corrisponde comunque a percentuali bassissime di utenza (se paragonate a quelle degli utenti mondiali di tutte le piattaforme sommate), nel mondo l'utilizzo di Windows Phone è veramente irrisorio.
  • Il secondo fenomeno è la rinnovata necessità di spingere l'utenza sui propri prodotti: alla fine se si utilizza iOS o Android è abbastanza indifferente per Google, ma questo vale solamente in occidente.
Come ho detto, la sfida negli anni a venire non sarà certo rivolta al nostro mercato, né a quello europeo, né tanto meno a quello americano: quanto più al prossimo miliardo di utenti che sta giungendo in modo esplosivo verso Internet.
Sud America, minima parte dell'Africa, Cina e tutta l'Asia in generale, ma, principalmente, l'India sono i mercati su cui concentrarsi, dove produttori come Xiaomi, Oppo, Lenovo, ZTE ed altri (che per ora sfruttano tutti Android) stanno al momento facendo il bello ed il cattivo tempo...

Se questa fetta gigantesca di utenza dovesse finire nelle mani dell'avversario, sarebbe un duro colpo sia per Google che per Microsoft.


L'arma proposta da Google, allora, prende il nome di Androidone, che può essere visto un po' come il primo accesso ad Android e, tramite esso, alla rete.

Androidone è essenzialmente un accordo tra Google ed i produttori hardware dei vari paesi target, per immettere sul mercato smart-phone dalle schede tecniche discrete ma a prezzi interessanti per la stragrande maggioranza di persone. Questo perché in quei paesi i dispositivi pensati per l'occidente risultano essere troppo costosi ed inaccessibili alle masse.

Perché Google ha la necessità di fare questo? Android non era la piattaforma più diffusa al mondo (forse anche troppo)? E facendo due calcoli approssimativi, non dovrebbe essere scontata una continua diffusione a macchia d'olio anche nei nuovi mercati?

, anche senza l'intervento di Google, Android continuerà a dominare le vendite. Del resto sembra essere l'unico sistema operativo, oggi, in grado di sopravvivere ed espandersi, grazie sia ai costi molto bassi per i produttori (licenza gratuita, grandissimo supporto hardware tra cui scegliere), sia per l'ottimo ecosistema offerto agli utenti finali.

Ma a Google non serve (solo, non basta) la diffusione di Android, come vedremo fra poco.



E Microsoft? Beh... ha puntato su Nokia.

Nokia era praticamente l'unico produttore che stava supportando Windows Phone. Sì, ok, ci sono anche 2-3 telefoni di HTC o Samsung, ma il grosso degli utenti di quell'ecosistema utilizza telefoni dell'ex casa finlandese.

Nokia, guarda caso, è anche uno (se non il) più diffuso produttore di telefonini in India: chiunque in India ha un feature-phone della casa ed il brand ha ancora il suo fascino. L'attaccamento a Nokia spiega anche le percentuali di diffusione a due cifre in Italia, paese in cui il legame con il marchio è ancora forte.

E Microsoft, con l'accordo di compravendita dell'azienda, ha ottenuto la possibilità di utilizzare per i prossimi 10 anni il marchio Nokia sui telefoni di fascia bassa che produrrà, e che sono proprio quelli che verranno venduti nei paesi in cui si sta spostando la lotta per il futuro.

Quella di Microsoft è sicuramente una scommessa forte, che è difficile valutare completamente, tant'è che in molti in azienda (tra cui Bill Gates) non erano assolutamente convinti della mossa di acquisizione della casa finlandese. Mossa che ha portato alle dimissioni del vecchio CEO, Steve Ballmer.


Sarà un caso che il nuovo CEO di Microsoft sia di origini indiane, e che Sundar Pichai, che è a capo delle divisioni Android, Chrome e Apps di Google, sia anch'esso indiano? Comincio a non crederlo...



Tornando ai passi per il futuro, quello di Google è, a differenza di Microsoft, un passo obbligatorio... tirate fuori il taccuino e rileggete le tre cose che vi avevo chiesto di appuntarvi!

No, ok, scherzavo :-D
Ve le ricordo io:
  1. Open-Source
  2. Linux
  3. Google Apps + Services

Partiamo dal terzo punto. La suite di applicazioni e servizi di Google è slegata dal sistema operativo e non ne è chiaro il costo per gli OEM. Ma soprattutto richiede un processo di approvazione da parte di BigG: processo che tantissimi produttori di smart-phone e tablet, specialmente nei mercati orientali, evitano, inondando gli stessi mercati di prodotti basati sulla versione "spoglia" AOSP del robottino verde (quella senza i servizi e le apps di Google per intenderci).

Su questa versione, tra l'altro, si fonda anche il lavoro di tantissime ROM custom, come la CyanogenMOD, che entrerà in diretta competizione con il progetto androidone.


A questo punto la già citata Xiaomi merita un trafiletto tutto per sé.
Il giovano brand cinese, in soli 3 anni, è diventato il terzo produttore di smart-phone al mondo (o quarto, a seconda di come vogliamo vederla), superando firme come LG, Huawei ed altri.

Ed anche qui: sarà un caso che dopo i primi telefoni senza le Google Apps + Services, ma forniti della ben famosa MIUI, sia giunto nell'esecutivo proprio Hugo Barra l'ex capo della divisione Android e con esso anche le Google Apps + Services sui successivi smart-phone dell'azienda? Chissà... :-|


Passando, ora, al primo punto della lista, Android può essere forkato, visto che è open-source, dando vita a potenziali sistemi concorrenti, come il Fire OS di Amazon. Cosa che, di base, non va poi tanto male neanche a Google stessa, la quale può avere di ritorno tutti i benefici derivanti dal maggior lavoro sul codice, dalla maggior risoluzione o segnalazione di anomalie e bug, e dall'aumento delle potenzialità della piattaforma stessa.

Ma ciò ovviamente non è sufficiente. E non va nemmeno così troppo giù a Google, che non è una onlus, e da qualche parte deve anche guadagnarci...
Facilitando il processo di approvazione del suo pacchetto di servizi e applicazioni, può tornare a dominare la scena Android anche in questi mercati. O almeno questa è la speranza.

Inoltre, controllando direttamente il software installato sul dispositivo, punto cardine del progetto Androidone (evitando cioè le grandi personalizzazioni che possono fare i produttori di terze parti), BigG può velocizzare lo sviluppo della piattaforma e dei propri servizi su di essa (che sono la reale fonte di guadagno).

Questo spiega l'esistenza ed esigenza di andoidone.



Ricapitolando:
  1. quattro sono i colossi che guidano il mercato tecnologico lato servizi/software (Amazon, Apple, Google e Microsoft);
  2. tre sono le piattaforme più diffuse che muovono i principali prodotti in vendita (Android, iOS e Windows Phone);
  3. due sono le aziende che puntano maggiormente ad allargare le proprie braccia anche sui mercati che si stanno aprendo (Google e Microsoft);
  4. una è l'azienda che più di tutte sta avanzando a ritmi sostenuti per coprire le esigenze degli utenti, o a introdurne di nuove (Google).

Ovviamente è così che funziona il mercato, così come si è configurato nel corso degli anni. Ma come potrete immaginare, un numero ristretto di menti che guidano, per quanto possano farlo bene, limita sicuramente la possibilità di scelta di noi utenti. E chiaramente può anche causare un appiattimento generale.

Google, adottando Linux come base di molti dei suoi prodotti e con tutte le attività che svolge, probabilmente non ha nemmeno l'interesse a dominare in solitaria.
Sicuramente mira a restare in alto, magari un gradino sopra gli altri, ma il suo stesso modus operandi e mettersi sempre in discussione è una garanzia per noi utenti.

Ci avete fatto caso che di qualsiasi prodotto o approccio intrapreso da BigG ne esistano sempre dei duplicati? Perennemente in beta, in concorrenza con il mondo ma anche con sé stessi e, anche quando dominanti in un ambito, poco dopo spunterà qualcos'altro che cercherà di minarne le basi?
  • Google.com vs iGoogle >> Google.com
  • Google Video vs YouTube >> YouTube
  • Google+ vs Orkut >> Google+
  • Gmail vs Wave >> Gmail
  • GoogleTV vs Chromecast >> Chromecast
  • ...

E altre sfide appena iniziate o che vanno avanti da tempo:
  • Maps vs Waze
  • Gmail vs Inbox
  • Android vs Chrome OS
  • chromecast vs Andoridtv
  • Nativo vs HTML5
  • desktop app vs web app
  • ...


Ma siamo del tutto sicuri che questo basti?
In molti non lo sono, ovviamente soprattutto per interessi di business, ma a volte anche per principi etici.


E Research In Motion (RIM) in tutto questo che fine ha fatto? Aveva un certo successo fino a qualche tempo fa...

Tanto per cominciare l'azienda canadese ha da qualche tempo cambiato nome unificandolo con quello del suo sistema operativo: dopo la grande confusione degli anni passati, ora si parla solo di BlackBerry.

Detto questo, l'azienda continua a perdere market-share e la sua già piccola nicchia di utenti si sta restringendo sempre più. Nel corso degli anni tanti utenti sono stati catturati dalle piattaforme concorrenti, e nonostante l'azienda cerchi di stupire il mercato con soluzioni ricercate e sicuramente di ottima qualità, la scarsezza di applicazioni compatibili con la piattaforma si fa sentire.

Il supporto alle applicazioni Android è sicuramente un aiuto, ma un ecosistema non può sperare di crescere facendo uso solo di soluzioni pensate per altri mondi e che spesso mal si sposano con il proprio.

BlackBerry 10 è un sistema operativo interessante: sarebbe un peccato perderlo per strada, come successo in passato con tanti altri OS (WebOS e MeeGo tra tutti).

Nel frattempo BlackBerry, l'azienda, sta spostando il proprio business maggiormente sui servizi, che ancora creano guadagni.



Fin qui ho utilizzato tanti termini, vi ho dati tanti spunti e descritto il mondo di oggi.

Ma parole ricorrenti (o che comunque ho spesso utilizzato) sono state, in ordine alfabetico: Android, Ecosistema, Futuro, Linux, Mercati Emergenti, Modularità, Open-Source, Web/HTML5.

Al di fuori degli schemi ben diffusi, un serie di player sta cercando di contrastare quel monopolio che vi ho descritto e che negli anni si è andato a creare e rafforzare. E nell'operato di questi attori potrete notare come le suddette parole ricorrenti verranno riproposte con forza.


Mozilla Foundation è una fondazione no-profit che da sempre promuove l'apertura, l'innovazione ed Internet, l'open-internet. Sicuramente più famosa per il suo browser Firefox, l'organizzazione da non molto è scesa anche nel campo dei sistemi operativi con il suo Firefox OS.

Perché è importante sottolineare la discesa in campo di questo ente? E perché lo stesso ha deciso di farlo nonostante sia, come detto, una organizzazione senza scopi di lucro?

Per prima cosa perché Firefox OS sta riscuotendo un discreto successo (e continua la sua espansione). Poi per come funziona il sistema operativo in sé. Ed infine per quello che Mozilla può e sta donando all'evoluzione tecnologica.


Andiamo con ordine.

Tanto per cominciare, come funziona FirefoxOS?
Il sistema operativo è basato su Linux, Android e Gecko.

Aspetta! Ho letto bene? Android? Er... Cosa?
Sì, hai letto bene :-D.

Semplificando molto, gli ingegneri di Mountain View (che "strano", vicini vicini a Google!), muovendosi nel mondo open-source, hanno pensato di non ricreare nuovamente la ruota, ma di partire da quanto già esistente sul mercato: un ottimo kernel (Linux) ed un layer di astrazione dall'hardware sottostante (HAL), parti del quale condivise con Android.
Attorno ad esso hanno realizzato un contenitore, Gonk, che permette allo strato superiore di dialogare con il dispositivo hardware. La parte applicativa, che può essere vista come un porting di Gecko, il motore di rendering del browser Firefox, e delle sue WebAPI, muove tutta l'interfaccia utente (Gaia) e ovviamente le applicazioni scritte dagli sviluppatori.


Ok, tutto bello, ma perché ce lo stai dicendo?
Mozilla = Firefox/Firefox OS/Gecko = Web = HTML (e nello specifico HTML5).

FirefoxOS è un sistema operativo pensato per portare -finalmente- il web nel mondo mobile.

A differenza degli altri sistemi operativi ad oggi più diffusi, Firefox OS serve per continuare la missione di diffusione di Internet e del web portata avanti dalla fondazione in tutto il mondo. Ad abbassare il costo della tecnologia, e portare a chiunque strumenti per accedere alla rete.

Forse non si è giunti ancora all'ottimo e alla rottura completa (con lo smartphone da 25$) del mercato, ma è sicuramente un inizio.



L'impegno di Mozilla è prezioso per tanti motivi, ad esempio perché essa è l'unico ente che sta affrontando sfide particolari, come l'internazionalizzazione di concetti legati ad un sistema operativo od un computer (ad es. mouse, files, cookie, o ancora aspect ratio, crash, e tutte le cose più strampalate che potreste pensare) con termini familiari a persone che provengono dall'allevamento del bestiame, dalla pesca o dall'agricoltura, in zone del mondo in cui si parlano lingue completamente differenti da quelle più diffuse.

Processi come questo non saranno mai affrontati da aziende mosse dai guadagni diretti, e che in futuro trarranno vantaggio ed utilizzeranno il lavoro che Mozilla ed altri stanno donando al mondo.


L'apertura di Firefox OS e il non interesse di guadagno diretto sui prodotti commercializzati da parte della fondazione, si riscontra anche nel lavoro di porting del sistema operativo stesso su dispositivi nati con altri OS, per far conoscere e diffondere la propria idea.

Il concentrarsi sul Web è un argomento talmente importante che anche gli altri attori lo stanno pian piano tenendo in considerazione. Ad esempio, Google, con Lollipop, ha reso completamente slegata dall'OS stesso l'engine del browser (basata su WebKit) con la quale il sistema operativo renderizza le sezioni delle apps che fanno uso di WebView.
In questo modo sarà possibile aggiornare rapidamente, al di fuori dei lenti upgrade di sistema, la stessa engine, e patch o evoluzioni e miglioramenti potranno raggiungere in modo molto più tempestoso tutti gli utenti.


Canonical, l'azienda fondata da Mark Shuttleworth e famosa per la creazione di Ubuntu, è un altro dei player ribelli al monopolio dei sistemi operativi, sia in ambito tradizionale (contro Microsoft ed Apple) che mobile (contro Google e gli altri).

La visione, in questo caso, è leggermente diversa da quella di Mozilla, poiché non è mossa tanto dall'idea di portare il web sui dispositivi mobili (anche se, pure in questo caso, le Web App avranno la stessa "visibilità" delle app native), quanto più da quella di unificare/convergere l'esperienza utente, indipendentemente dallo schermo in uso.


Ubuntu è la distribuzione Linux più diffusa nel mondo tradizionale dei computer e, escludendo Android dall'elenco -ché a mio avviso non ne fa propriamente parte-, mira a ricrearsi la stessa nicchia di utenza anche in quello mobile e dell'intrattenimento in casa.

Sono passati 10 anni dalla prima versione dell'OS e la notizia più bella è che finalmente non è più così indispensabile passare frequentemente di versione in versione sul proprio PC.
Come forse saprete un aggiornamento di Ubuntu viene rilasciato ogni 6 mesi, e fino a poco tempo fa ogni una nuova versione significava un aumento delle prestazioni ed uno stravolgimento generale: era, insomma, altamente consigliato effettuare l'upgrade.

Oggi anche l'utente medio (e non solo quello enterprise) può accontentarsi delle versioni LTS (long term support), rilasciate ogni 3 anni ed aggiornate costantemente. Tali versioni integrano di volta in volta tutte le novità rilasciate con gli upgrade intermedi.
Essenzialmente questo significa che Ubuntu è ufficialmente un sistema operativo stabile.

La rivoluzione portata da questo OS nel mondo open-source e Linux in generale è stata immensa, e Canonical è sempre stata vista in maniera controversa: non tutte le scelte prese nel corso degli anni sono state accettate dalla community. A volte anche perché mosse a differenziare e spostare l'operato al di fuori dei binari seguiti dalla restante parte del mondo del pinguino: e quando si fa parte di una grande famiglia, prendendo e non riportando alla stessa i frutti del proprio lavoro, si rompe qualcosa.

Scelte come un differente display server fatto in casa, o anche Unity, l'interfaccia personalizzata di Ubuntu, oppure ancora servizi proprietari rilasciati con troppo ritardo alla community, hanno spesso mosso critiche e dissensi.

Ma Canonical è sempre stata in grado di seguire la propria strada, rendendo Ubuntu la faccia amichevole di Linux per le masse.


Parlando di Unity e convergenza, Ubuntu Phone (Touch) è l'incarnazione mobile di Ubuntu. E proprio quella interfaccia sarà il collante visivo tra il condiviso ambiente sottostante.
Le applicazioni saranno realizzate in modo da essere unificate per ogni incarnazione del sistema operativo.

La stessa strada è percorsa da altri competitor, che però lo stanno facendo al contrario:
  • Google sta aiutando gli sviluppatori a portare le apps, una per una, da Android su Chrome OS (e nel mondo Android c'è anche chi lavora a progetti simili);
  • Apple ha deciso di mantenere i suoi ambienti separati, ma ripropone alcune funzionalità di iOS su OSX e cerca di dare continuità ai due sistemi,
  • e Microsoft lentamente sta arrivando anch'essa alla convergenza dei suoi mondi desktop e mobile.

Tutti approcci differenti per risolvere lo stesso problema.


Il fallimento della campagna di crowd-funding per un telefono realizzato da Canonical appositamente per la variante mobile del suo sistema operativo, è stato così spettacolare da mostrare al mondo intero che un certo interesse per la piattaforma c'è.

E, infatti, per fine anno è previsto l'arrivo sul mercato di almeno uno smart-phone con questo OS..


Non solo Mozilla e Canonical si muovono nel mondo dell'open-source e Linux. E non solo loro sono le uniche ad avere porting dei rispettivi OS per device nati su altre piattaforme.

Jolla, una delle start-up che più sto seguendo in questo periodo (come saprete), sembra essere uno dei player alternativi più promettenti.


Di Sailfish OS vi ho parlato tante volte, ma era d'obbligo riportarlo nell'articolo. Tale sistema operativo è una distro-Linux esattamente come Ubuntu, e derivata da MeeGo a sua volta unione di altre due distro-Linux: Maemo e Moblin. E anche di Sailfish esistono diversi porting ed altre iniziative per mostrare il lavoro svolto su altri device.


Davvero interessante vedere come il mondo mobile si stia spostando da, potremmo definirli, derivati di sistemi operativi a distribuzioni vere e proprie.

Se ci pensate, infatti, iOS deriva da OSX (derivato a sua volta da BSD, quindi Unix), Android usa il kernel Linux e BlackBerry 10 è basato su QNX (derivato da Unix). Solo Windows Phone, che ha componenti di Windows, non ha radici comuni agli altri OS (ed è l'unico con una natura monolitica del kernel).

La modularità dei sistemi open-source, strettamente legata a quella del kernel Linux (il secondo punto della nostra lista), è la chiave del successo di Android, e lo stesso kernel può favorire la diffusione anche degli altri OS ribelli.


Per tutte le informazioni su Jolla e Sailfish OS rimando agli articoli relativi allo jolla phone.

Una cosa da riportare a caratteri cubitali è che jolla è l'unica azienda europea (assieme a Canonical) in questo marasma di nomi e marchi, con sede in Finlandia. In Europa!

E l'azienda sta spingendo molto su questo aspetto, soprattutto dopo lo scandalo relativo alle intercettazioni della NSA (National Security Agency).


Tizen è un discorso a parte.

Derivato anch'esso da MeeGo, il sistema operativo open-source nasce dalla fusione di parti del lavoro nato dalla collaborazione tra Nokia ed Intel, di LiMo e di Bada, l'OS proprietario creato da Samsung per la sua linea di dispositivi di fascia bassa.

Nonostante i grandi nomi dietro al progetto, una fondazione appositamente formata per regolarne la diffusione, i continui avanzamenti della piattaforma, e la promessa di supporto per dispositivi di ogni genere (dai wearable ai TV, dal mobile all'infotainment in automobile), di Tizen ancora si parla poco.

Samsung lo utilizza all'interno dei propri wearable, ma un'ecosistema reale ancora non esiste e voci continue di rilasci imminenti di prodotti, con relative smentite successive, stanno rendendo la piattaforma sempre meno interessante.

Staremo a vedere cosa succederà.



Voglio chiudere con una citazione:
Il software libero è più grande di qualsiasi progetto. Lo è più di quanto lo sia il kernel Linux, è più grande di GNU, che è più grande di GNOME e KDE, è più grande di Ubuntu, Fedora e Debian. Ognuno di questi progetti ha un ruolo, ma è l'insieme che sta realmente cambiando il mondo.

Ed è proprio grazie al software libero che tutti i grandi colossi citati sono arrivati lì in alto e stanno conquistando ogni possibile spazio del mercato, anche rivoluzionandolo.

La speranza per noi utenti è che anche i nomi piccoli come Jolla o grandi come Mozilla o Canonical, ma anche la piattaforma Tizen, riusciranno a riportare un po' di equilibrio nel mondo tecnologico del prossimo futuro.
Sicuramente al momento non possono competere con gli ecosistemi alle spalle delle piattaforme più diffuse, ma occorre dare tempo al tempo (cit.)!


Bene, per oggi vi ho stressato anche troppo :D

Chiudo qui e vi do appuntamento alla seconda parte!
A presto.